Penne

 

Renzo Ribetto responsabile del Servizio Didattica del Parco del Po Cuneese e socio del Museo di Lentate dal 2004, ha realizzato la collezione di penne del Museo e ne è il curatore. Grazie alla sua esperienza  su  questo particolare mondo avremo la possibilità di capire le differenze tra penne e piume, il valore estetico e  i  colori, i  vari  tipi  e  forme  con le loro smarginature, i  momenti e  le torsioni in relazione all’ingegneria  aerodinamica del volo.

         Chiaramente  verrà  affrontato  anche  l’argomento  riguardo  alle  collezioni:  dove  trovarle, come trattarle, i metodi  per il riconoscimento, per arrivare poi alle ’raccolte ordinate’ e la relativa conservazione nel tempo.

Come diventai pennologo.

Da pochi mesi ero guardaparco presso l’allora Parco Naturale Rocca di Cavour, Provincia di Torino.

Andando nel bosco, un giorno scoprii tra le foglie a terra un mucchietto di piccole piume, grigie. Un falco, pensai, ha catturato un uccellino; e un lieve brivido mi corse l’animo. Perché un animale che muore mi ha sempre arrecato pena.

Qualche giorno appresso, non lontano da quel luogo, un altro mucchietto, che intanto avevo appreso chiamarsi spennata.

Però, ‘sto falco… dissi tra me e me; e andai oltre, sempre con quel brivido interiore.

Parlai dell’accaduto con un signore che ci stava avviando ai segreti della Rocca. Francesco Zavattaro. Torino. Costui si interessava di archeologia, ma era di spirito aperto; tanto che poco tempo dopo se ne arrivò con un libro dedicato alle penne e me lo regalò. ‘Tracce e segni degli uccelli d’Europa’. Ringraziai. Lo sfogliai velocemente e lo posi in libreria, a disposizione. Non lo lessi, come sempre. Perché se non ne hai bisogno, che te ne fai di un libro?

Una settimana e ancora un altro mucchietto. Un’epidemia.

Adesso basta, decisi.

Un amico guardaparco più esperto mi aveva spiegato che quando si rinviene qualcosa bisogna segnarsi il luogo, la data e, soprattutto, raccogliere tutto, proprio tutto; in modo da ricostruire dopo, libri alla mano, quanto successo.

Così feci, sotto gli occhi divertiti e un po’ perplessi del mio collega.

La sera mi misi al tavolo ad osservare i reperti: quelli più grossi, che chiamai penne.

Quelli più piccoli, che decisi di chiamare piume e che sembravano tutti uguali tra loro, li misi da parte; un’altra volta…

Scoprii che tra le penne si distinguevano quelle destre da quelle sinistre e che si riusciva a metterle in successione geometrica logica. Perché una penna andava bene soltanto in una posizione; nelle altre rendeva disarmonica, fuori posto, sgradevole, la composizione.

Altre penne non funzionavano, troppo dritte, con l’estremità cartilaginea a punto interrogativo, ben strana. Con qualche titubanza decisi trattarsi della coda; timoniere, per gli esperti.

Che fossero resti del pasto di un falco ero sicuro. Di quale falco, buio completo. Quale la vittima? Qui potevo arrivarci. Col libro del mio amico.

Ecco quando servono i libri, e li baceresti in quel momento: a darti delle risposte quando le cerchi.

Cominciai a sfogliare le figure e mi fermai, dopo mille indugi, nella pagina dei passeri. Passera oltremontana e passera scopaiola.

Ero GP da poco e quei due uccellini non li avevo mai nemmeno sentiti nominare. Perché a un GP, già allora, anno 1988, si chiedeva più che conoscesse due leggiucole o due cavilli che non chi e come e quando vola in cielo.

Più avanti poi, il libro parlava di passera d’Italia, di passera mattugia, domestica, lagia, sarda. Ce n’erano un mucchio. Chi l’avrebbe detto… Ma non riportava le penne e questo complicava la vita.

Scartai a priori la sarda, essendo in Piemonte; la lagia, troppo astruso quel nome, la domestica, troppo banale. Puntai sul dualismo oltremontana – scopaiola. Di cui c’erano i disegni delle penne. Non riuscii a venire a capo del problema

Mi arrovellai parecchio, ma quando l’enigma sembrava svelato, ecco un particolare a buttare in aria le mie congetture.

Per fare tutto questo maneggiavo e ancora maneggiavo le penne, con una pinzetta da filatelico. Trattare francobolli fin dall’infanzia mi aveva dotato di buona delicatezza e discreto spirito d’osservazione, così che le penne non subirono danni.

Quello che quasi senza accorgermene mi colpì, fu che quegli oggetti che avevo chiamato penne erano bellissimi. Nella forma, nelle curve, nella successione delle sfumature di colore, di rigidezza e morbidezza. Erano come note di uno spartito. Se le toglievi dal loro posto potevi soltanto rimetterle lì, sennò la musica veniva stonata.

Infine, stanco, guardai l’orologio: l’1 e 15. La sveglia sarebbe stata di lì a poco. Volai a letto senza scoprire l’identità della vittima del falco.

A quelle nottata seguirono tante e tante altre giornate, di raccolta di spennate, perché sulla Rocca gli sparvieri erano signori, e di studio, pinzetta alla mano.

Lentamente la bellezza di quegli attrezzi da volo mi affascinò, mi ammaliò.

Scoprivo un mondo di meraviglia che non immaginavo. Le vittime cominciarono ad avere nomi. Quella prima spennata era di passera mattugia. Seguirono fringuelli, con i colori a dare vigore alla bellezza delle sequenze e a costituire ulteriore elemento di identificazione, da aggiungere alle forme, alle curve, alle geometrie. Cardellini, tortore, merli.

Anche il nero non è nero come si pensa se si osserva con attenzione.

Dal mio magico libro appresi che le piume erano in realtà copritrici, e imparai a distinguerle, costruendo un nesso tra loro e l’immagine dell’uccello. Scoprendo che i colori sono nelle copritrici e non nelle penne, e via discorrendo, di scoperta in scoperta con un entusiasmo e una voglia di continuare che poco volte ho provato.

E continuai a chiamare piume le copritrici e a ignorare, di fatto, le vere piume; anche oggi.

Tanta bellezza andava mostrata.

Una cosa bella è più bella se la condividi.

Occorreva un sistema per esporre in modo efficace, duraturo ed esteticamente armonioso le penne. Una scheda. Così da poterne fare una collezione: esattamente come si raccolgono i francobolli.

L’amico che mi aveva detto di raccattare tutto proprio tutto, mi suggerì di fermare le penne su carta con una goccia di vinavil.

Il gioco era fatto.

Schede A3 per gli uccelli più grandi e A4 per la taglia passeriforme. Tutto sigillato in buste di nylon a fare gli sberleffi alle tarme. Perché fu subito chiaro che quelle erano una minaccia mortale.

Montai schede fino ad averne un certo numero. Il collezionismo, senza distinzione di soggetto, è una malattia.

Conobbi gli amici di Lentate. Mi dettero un mucchio di materiale che alacremente trasformai in schede.

Intanto, lentamente, andavo maturando l’idea che quella roba non si poteva tenere in un cassetto, come Paperone i suoi dollari. Era un bene pubblico in origine e tale doveva rimanere: protetto ma pubblico. Mi occorse tempo. Perché è difficile e pure doloroso, per un collezionista, aprire gli artigli e mollare la sua creatura. Ma infine…

Alcuni musei piemontesi non risposero nemmeno alla mia proposta di acquisizione della collezione. Sarebbe piaciuto, a me collezionista, averla vicina.

Così tornai a Lentate sul Seveso, ai miei amici e al loro museo, che in breve diventò anche mio, avendo deciso di lasciare lì la collezione.

La soluzione più giusta e più semplice, per questo più difficile da individuare e seguire.

Una bellissima soluzione per una, lasciatemelo dire, bellissima collezione di penne.

Con valore scientifico? Dicono di si, ma a me pennologo, lasciatemi dire anche questo, non me ne importa un gran che.

Perché per me le penne sono soprattutto state, sono e saranno sempre dei bellissimi attrezzi colorati di volo, che fanno volare il pensiero e sognare.  Cose belle. Da condividere.

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